Nuove prospettive e linguaggi inediti su un tema pervaso da stereotipi, tabù e invisibilità: la giornalista e il formatore, entrambi attivisti e content creator sui social, li hanno affrontati a Torino durante il convegno “Umano, troppo umano”
Affrontare il tema della sessualità delle persone con disabilità significa entrare in un campo ancora oggi pervaso da stereotipi, tabù e invisibilità. Ma ci sono voci che stanno rompendo il silenzio e offrendo nuove prospettive, anche attraverso la costruzione di linguaggi inediti: tra queste, spiccano quelle della giornalista e attivista Valentina Tomirotti e del formatore e ricercatore Simone Riflesso.
Due percorsi diversi ma complementari, uniti da un obiettivo comune: riconoscere la sessualità come parte integrante dell’identità, anche e soprattutto delle persone disabili.
La scorsa settimana, Tomirotti e Riflesso sono stati protagonisti a Torino di una tavola rotonda durante il convegno “Umano, troppo umano”, organizzato dal Servizio Passepartout del Comune di Torino insieme ad Associazione Verba e alla Scuola di Formazione ed Educazione Permanente (SFEP). L’evento ha avuto l’obiettivo di condividere una visione teorica e pratica sulla sessualità delle persone con disabilità volta alla promozione del benessere e alla condivisione di strumenti e buone prassi replicabili in contesti psico-socio-educativi.
Identità, corpo ed emozioni: la sessualità come esperienza interiore
In apertura di tavola rotonda, si è affrontato il tema della sessualità da un punto di vista personale. Simone Riflesso ha ricordato come non occorra partire dalla tecnica o dalla prestazione, quanto da se stessi: «La sessualità – ha affermato – è innanzitutto identità: prima ancora di poter mettere in pratica i desideri, infatti, è fondamentale accettare ciò che sentiamo e riconoscere l’importanza della reciprocità emotiva con l’altro».
Riflesso ha poi sfidato l’idea “romantica” di sessualità: «È uno stereotipo: le emozioni, infatti, non passano dal cuore ma dal cervello, con il corpo a rappresentare una parte attiva della nostra esperienza. Ma se il tuo corpo ha bisogno di aiuto, la sessualità diventa un luogo di conflitto e fatica; per questo è essenziale lavorare su noi stessi».
Il vuoto educativo: sessualità ignorata, desideri rimossi
Uno degli aspetti su cui si è concentrata maggiormente l’attenzione è stato quello educativo. A proposito, Valentina Tomirotti ha sottolineato quanto la mancanza di educazione sessuale abbia inciso sul proprio percorso citando un ricordo personale risalente alle scuole medie: «Ci chiesero – ha raccontato – di scrivere un tema dal titolo “Cosa vedi guardandoti allo specchio?”. Io mi vidi nuda ed ero impreparata: all’epoca non si parlava di sessualità e corpi diversi, era tutto affidato – per modo di dire – all’università della strada».
Quella mancanza si è poi trasformata in uno spazio di rimozione e autoesclusione. Secondo Tomirotti, ancora oggi, molte persone disabili vivono una condizione simile: «Purtroppo, persiste ancora l’idea che noi persone disabili non possiamo ambire ad alcuni tipo di sessualità e che siamo eterni bambini. Questa infantilizzazione ha radici culturali profonde ed è estremamente pericolosa».
Sessualità e disabilità: due tabù che si sovrappongono
A generare ulteriori criticità è proprio l’incontro tra sessualità e disabilità, su cui Riflesso si è interrogato molto: «Ci sono – ha aggiunto – più stereotipi sulla sessualità o sulla disabilità? In realtà è l’incontro tra le due a essere ancora tabù. La società è sessuofobica e quando incontra qualcosa che devia dalla norma, come un corpo disabile con una sessualità non eteronormata, allora reagisce negativamente amplificando il disagio».
La mancanza di strumenti si nota soprattutto nel modo in cui i media raccontano queste storie. Tomirotti, su questo aspetto, è stata piuttosto netta: «I media non ci aiutano perché domina ancora oggi una narrazione abilista: quella in cui gli unici autorizzati a parlare sono gli esperti medici o il personale sanitario. Ancora oggi non è contemplata una rappresentazione che ci veda soggetti protagonisti del nostro desiderio».
Intersezionalità e visibilità: un percorso personale e collettivo
La “collisione” tra sessualità e disabilità introduce un altro elemento di complessità, ben spiegato dal termine intersezionalità. Simone Riflesso ha avuto modo di scontrarsi con questo importante concetto a partire dalla propria esperienza: «Fino a poco tempo fa, quando partecipavo ai Pride mi sembrava di essere l’unico gay disabile al mondo. Nessuno parlava di noi e io non avevo ancora gli strumenti per capire quanto la mia esperienza fosse intersezionale».
Questo lo ha portato a lanciare un’indagine sull’accessibilità delle manifestazioni dell’orgoglio, ribattezzato “SondaPride”: «La mia domanda è molto semplice: “Cosa state facendo per rendere accessibili i Pride alle persone disabili o neurodivergenti?” I risultati, con grande rammarico, sono stati desolanti. Da quel momento, però, alcuni hanno iniziato a riflettere ed organizzarsi, anche se la situazione è ancora troppo frammentata».
La proposta è chiara: coinvolgere direttamente le persone disabili nella progettazione degli eventi e delle politiche, affinché il “Nulla su di noi senza di noi” non resti solo un motto senza reale applicazione.
Il nodo femminista: l’assenza delle donne disabili
Di pari passo, Tomirotti ha rivendicato con forza il diritto delle donne disabili a essere parte attiva nel discorso femminista: «Spesso – ha accusato – non veniamo prese in considerazione. Per dimostrarlo, potrei fare i nomi di almeno cinque femministe famose che non mostrano alcun interesse per le donne disabili». Nonostante tutto, ha ammesso la crescita di una nuova generazione di attiviste, più dirette meno accomodanti: «È un movimento che mi rende felice perché punta sui contenuti piuttosto che sui numeri».
Un esempio concreto di quella che potremmo chiamare “esclusione selettiva”? Il progetto Boudoir Disability, con cui nel 2016 Tomirotti ha voluto mostrare il proprio corpo al di fuori dai canoni estetici in modo sensuale: «All’epoca serviva per rompere le barriere: anche se non ho avuto il sostegno da parte di tutto il mondo femminile, credo abbia contribuito ad alzare l’attenzione. Oggi come oggi non lo rifarei perché sembrava che il contenuto passasse in secondo piano rispetto a tutto il resto».
Sessualità, abilismo e desiderio
A generare tutte le barriere e gli equivoci appena descritti è l’abilismo, che influenza in più modi la sessualità delle persone disabili: «Più che dal punto di vista psicofisico – ha ancora dichiarato Riflesso – dipende da come veniamo trattati. Prendendo in prestito il titolo del libro di Elena e Maria Chiara Paolini “Witty Wheels”, se la società ci vede come “mezze persone”, anche noi rischiamo di interiorizzare questa visione. In un contesto come questo, la nostra identità non fa altro che plasmarsi in base a ciò che ci viene tolto: occasioni, relazioni e reciprocità».
Il problema è principalmente culturale, ma si riflette in ogni ambito, dai rapporti familiari all’amicizia perché «non veniamo visti come possibili partner, e questo limita la nostra capacità di vederci come soggetti di desiderio».
Vita indipendente e diritto alla libertà sessuale
Un punto particolarmente critico è anche quello legato al rapporto tra dipendenza fisica e dinamiche di abuso: «Le persone disabili, soprattutto quelle non autosufficienti, sono esposte a dinamiche di potere che possono degenerare in abusi. La vita indipendente dovrebbe interrompere questo ciclo, ma oggi mancano strumenti, risorse e consapevolezza» ha avvertito Riflesso.
Secondo il suo punto di vista, il problema è principalmente politico: «Lo Stato e le Regioni adottano misure che non tengono conto dei reali bisogni. Serve un monitoraggio attivo delle politiche e un impegno concreto per la deistituzionalizzazione».
Felicità, desiderio e libertà: la scelta di essere
Tomirotti si è poi spinta ad una riflessione in grado di unire intimità, politica e visione del futuro: «Mi dicevano – ha concluso – che un’attivista non può essere felice. Che una persona disabile non può esserlo. Ma io rivendico la libertà di scegliere come vivere, anche nella felicità».
La stessa libertà che dovrebbe valere anche per la sessualità: «Non dobbiamo giustificarla. Non è un premio, ma un diritto che anche noi persone con disabilità dobbiamo essere liberi di vivere alla luce del sole, senza vergogna».
Diritti concreti, non concessioni: assistenza sessuale, educazione e maternità
Valentina Tomirotti e Simone Riflesso, infine, hanno rivendicato con forza la necessità di introdurre misure concrete che rendano effettivo il diritto alla sessualità delle persone con disabilità. Tomirotti, in particolare, ha sottolineato il bisogno di una rete di servizi accessibili e rispettosi: «Dobbiamo – ha concluso – chiedere un’assistenza sessuale normata, una vera educazione sessuale allargata che rispetti tutte le persone coinvolte, anche chi ha un corpo o un funzionamento diversi dalla norma, un sistema sanitario realmente accessibile e il diritto alla genitorialità per chi vuole».
Riflesso ha poi integrato con questa riflessione, a cui è seguito un monito : «Dobbiamo – ha aggiunto – uscire dall’isolamento e aprire spazi di confronto che garantiscano sicurezza e dignità nella vita adulta e indipendente. A questo si devono aggiungere un monitoraggio sulle strutture residenziali per prevenire abusi e un nuovo linguaggio sui media».
Verso una cultura “allargata” del corpo e del desiderio
Il confronto tra Valentina Tomirotti e Simone Riflesso al convegno “Umano, troppo umano” ha dimostrato come sia possibile parlare di disabilità e sessualità in modo radicale, sincero e costruttivo. Entrambi auspicano una rivoluzione culturale che parta dai corpi e arrivi alle istituzioni, passando per media, educazione e movimenti sociali. Perché è tempo di riconoscere che anche i corpi non conformi hanno diritto al piacere, all’amore e alla felicità: solo una società capace di accogliere e rispettare tutte le forme di desiderio, infatti, può dirsi davvero libera.
fonte Disabili.com
