DOLORE NEUROPATICO E CANNABIS

Di Monica Baiguini (neurochirurgo dello staff dell’Unità Spinale di Negrar (Vr)

Come avevamo spiegato in un precedente articolo esistono due tipi di dolore: il dolore nocicettivo ed il dolore neuropatico. Il primo tipo di dolore, che non è materia di questo articolo è il dolore che tutti proviamo se c’è qualcosa che non va, è un dolore “utile” che ci avverte di un qualche problema a livello del nostro corpo, nasce dai normali recettori e percorre le vie che normalmente trasportano le informazioni dolorifiche: mal di schiena, di spalla, di denti.

Il dolore neuropatico è un dolore “inutile” nasce dalle strutture nervose stesse e ci dà informazioni errate per esempio facendosi avvertire come dolorose delle sensazioni che dolorose non sono (ALLODINIA). È il dolore tipico dei soggetti che hanno avuto una mielolesione, o una cerebrolesione, è un dolore che insorge spontaneamente, tende a cronicizzarsi ed è resistente alle normali terapie antidolorifiche.

È accompagnato da una forte componente emotiva in quanto il paziente conosce il proprio dolore e sa quanto sia “difficile“ da sconfiggere.

Si manifesta classicamente con il bruciore, il formicolio fastidioso, la scarica elettrica.

Può essere presente anche l’IPERALGESIA che è la risposta abnorme ad uno stimolo doloroso e l’IPERPATIA, che indica il dolore che rimane anche dopo che un eventuale stimolo doloroso è stato rimosso.

Compare generalmente dopo qualche mese dall’evento che ha danneggiato il midollo e si stima che più della metà dei pazienti con mielolesione lo sperimenti. Il dolore neuropatico difficilmente si risolve con il tempo ma anzi crea un circolo vizioso dolore-ansia-depressione che può peggiorare sia la qualità di vita del paziente sia le sue relazioni umane. Numerosi sono i trattamenti proposti per alleviare questa patologia e questo sta proprio ad indicare che non vi è un trattamento da considerarsi risolutivo: tutto può aiutare, niente risolve il problema in modo definitivo.

Come detto nel precedente articolo vi è una scaletta da seguire nella gestione del dolore, scaletta che vale per tutti i tipi di dolore, a partire dai farmaci più semplici e con meno effetti collaterali per arrivare ai farmaci oppiacei ed ad alcune tecniche chirurgiche di impianto di pompe antalgiche o di elettrostimolatori, fino a tecniche di danneggiamento chirurgico delle vie nervose.

Recentemente si è aperta una strada che pare molto promettente e sulla quale incentrerò l’attenzione: la CANNABIS TERAPEUTICA.

Dal dicembre 2016 è disponibile LA CANNABIS FM2, prodotta dallo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, l’unica struttura autorizzata, al momento in Italia, alla produzione di cannabis. La cannabis è costituita da inflorescenze femminili non fecondate, essicate e macinate che contengono i precursori acidi di delta -9- tetraidrocannabinolo (THC) ed una percentuale di cannabidiolo (CDB). Oltre a queste sostanze sono presenti i TERPENI che conferiscono alla cannabis il caratteristico odore e sapore, essi ottimizzano gli  effetti terapeutici della cannabis e ne riducono gli effetti indesiderati.

Esistono due tipi di cannabis la SATIVA originariamente coltivata nel mondo occidentale e la INDICA coltivata nell’Asia meridionale (canapa indiana), attualmente in campo medico viene preferenzialmente usata la forma SATIVA.

Cugini stretti della pianta della cannabis sono l’ortica ed il luppolo Sono piante che si riproducono per clonazione il che vuol dire che le piante che nascono sono perfettamente identiche alle piante madri, questo permette di avere piante con le stesse identiche caratteristiche e cioè che producono la stessa miscela di cannabinoidi. Esse impiegano circa due mesi per svilupparsi in modo completo. I fitocannabinoidi presenti nella pianta di cannabis sono in grado di interagire con alcuni recettori del nostro organismo CB1 e CB2 che sono presenti in varie regioni del cervello, del midollo spinale, nel cuore, nei polmoni, rene, milza, intestino etc. con potenziale effetto antidolorifico, antinausea, stimolante l’appetito, antiinfiammatorio. In seguito all’assunzione della cannabis solo una bassa percentuale (/10-30%) sarà utile ai fini terapeutici, in quanto il resto viene eliminato rapidamente dal fegato.

Qualsiasi medico può prescrivere la sostanza, A PAGAMENTO. La richiesta deve essere non ripetibile e redatta secondo determinati criteri. Il medico è tenuto ad ottenere e conservare il consenso del paziente al trattamento con cannabis e deve correttamente informarlo dei rischi e degli effetti collaterali della stessa.

Una recente delibera della Regione Veneto, permette che il farmaco possa essere dispensato dal Servizio Sanitario Regionale (SSR) GRATUITAMENTE, previa prescrizione da parte di medici specialisti in: neurologia, reumatologia, terapisti del dolore e da medici operanti nelle strutture di cure palliative; ciascuno per le patologie di proprio interesse. La prescrizione deve soddisfare, al massimo, il fabbisogno di un mese di terapia e la cannabis deve essere erogata dalla ULSS di residenza del paziente.

Le patologie per le quali la cannabis è prescrivibile a carico del SSR sono:

dolore neuropatico resistente alle terapie convenzionali anche a base di oppioidi

spasticità nei pazienti con sclerosi multipla e lesioni midollari, sintomo che non sia adeguatamente controllato dalle cure tradizionali

dolore oncologico non adeguatamente controllato dalle migliori terapie antalgiche.

Le indicazioni si ampliano nelle prescrizioni a pagamento con possibilità di usare la cannabis anche per

trattamento della nausea in corso di chemioterapia, radioterapia, terapie per l’AIDS

stimolare l’appetito in soggetti particolarmente debilitati,oncologici o affetti da AIDS

ridurre la pressione oculare nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali

ridurre i movimenti involontari in alcune patologie neurologiche.

COME SI PRESENTA LA CANNABIS

Le formulazioni sono essenzialmente tre: sotto forma di olio, sotto forma di estratto essicato per tisana ed estratto per inalazione. Sono stati recentemente testate nuove formulazioni: biscotti, caramelle, tinture, succhi di frutta; viene riferito però che la dose assorbita a livello intestinale è influenzata dal tipo di cibo assunto nel giorno, e quindi ne è difficile la titolazione, mentre l’assunzione per inalazione permette un assorbimento rapido e completo a livello polmonare, non modificato da altri fattori.

Non è prevista una formulazione da fumare in quanto questa è la via più suscettibile di provocare effetti indesiderati perché si associa al rilascio di sostanze tossiche per la salute: catrame, ammoniaca, monossido di carbonio.

È indispensabile iniziare a basso dosaggio per poi salire gradualmente in quanto la cannabis si accumula nel tessuto adiposo che la rilascia lentamente e quindi se si aumenta la dose troppo in fretta si corre poi il rischio di avere fenomeni di “overdose”: depressione, senso di angoscia, allucinazioni. Mentre l’olio somministrato a gocce per via sublinguale non presenta problemi di titolazione, la preparazione della tisana richiede dosi e metodo di preparazione ben standardizzati.

Per l’inalazione esistono appositi apparecchi in commercio, non vanno bene i comuni apparecchi per aerosol, anche in questo caso la procedura di preparazione deve essere rigorosamente seguita.

Il tempo di riposta alla cannabis dipende dal modo di assunzione che è molto più rapido per via inalatoria (5 minuti) che per via orale (30/90 minuti) e dalla quantità di sostanza utilizzata; il tempo per il quale la cannabis assunta si mantiene efficace è di tre/quattro ore per l’inalazione, di 4/8 ore per la via orale.

La preparazione per essere efficace deve essere riscaldata, per ottenere la conversione dei cannabinoidi acidi nella loro forma farmacologicamente più attiva “neutra”, tranne l’olio che è già attivato con il calore in fase di estrazione e che pertanto non deve essere preparato dal paziente.

Se una dose non è efficace è necessario comunque aspettare almeno 10/12 ore prima dell’assunzione di una seconda dose.

CONTROINDICAZIONI

Esistono delle controindicazioni all’uso della cannabis esse sono:

– età giovanile per i possibili effetti sul cervello in via di sviluppo

-pazienti cardiopatici severi perché la cannabis può provocare sia iper che ipotensione, tachicardia, svenimenti -pazienti che soffrono di malattie del fegato, epatite C, per il rischio di peggiorare la funzionalità del fegato stesso

-pazienti con problemi psichiatrici in quanto la cannabis può provocare crisi psicotiche

-pazienti in terapia con sedativi in quanto la cannabis può incrementare l’effetto sedativo

-pazienti che abusano di sostanze psicotrope: alcool, droghe, per il possibile potenziamento degli effetti depressivi sul sistema nervoso centrale. Anche alcuni farmaci come le benzodiazepine (farmaci per l’insonnia, il Valium!), alcuni antiepilettici, gli antidepressivi, farmaci per lo stomaco, gli oppiacei, possono incrementare gli effetti della cannabis.

-donne che stanno pensando ad una gravidanza o allattano (possono causare malformazioni nel feto.)

Inoltre sospendere bruscamente la cannabis può causare sintomi di astinenza come irrequietezza, irritabilità, insonnia, nausea.

Oltre ai farmaci che potenziano l’effetto della cannabis vi sono farmaci che lo riducono per esempio l’iperico, (erba di San Giovanni), alcuni antiepilettici come il fenobarbitale e la carbamazepina. A sua volta l’assunzione di cannabis può aumentare o ridurre la biodisponibilità di alcuni farmaci come la teofillina e l’amitriptilina.

EFFETTI COLLATERALI

Gli effetti collaterali più comuni evidenziati nell’uso della cannabis sono: dipendenza, danni cognitivi, perdita di memoria, crisi di ansia, alterazione dell’umore, insonnia, tachicardia, ipotensione arteriosa, tolleranza, cioè la necessità di aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti terapeutici. Esiste poi la cosiddetta sindrome amotivazionale che consiste essenzialmente, come dice il nome, in mancanza di motivazioni, perdita di memoria e concentrazione, sonnolenza. Questi disturbi sono più frequenti nell’uso “non medico” della cannabis dove i dosaggi utilizzati sono più alti, bisogna però che il medico che prescrive la sostanza valuti bene il rischio di ciascun paziente, di cadere nella dipendenza da cannabis che è diverso da soggetto a soggetto. Si ricorda inoltre che l’assunzione di cannabis dà positività ai test antidoping previsti dal codice della strada, l’uso della stessa provoca allungamento del tempo di reazione e abbassa la capacità di concentrazione. I pazienti che assumono cannabis non possono guidare per 24 ore dopo l’assunzione dell’ultima dose di cannabis.

Le formulazioni più utilizzate, attualmente in commercio sono il BEDROCAN che presenta alti livelli di THC e sembra preferibile per la sindrome di Gilles de la Tourette, il glaucoma, la perdita di peso, l’inappetenza ed il BEDIOL in cui invece è maggiore il contenuto di CBD e che sembrerebbe essere più efficace nei pazienti con dolore cronico ed in quelli con spasmi muscolari.

Si precisa che gli studi sull’efficacia della cannabis non sono conclusivi e necessitano di rivalutazione anche in relazione al rapporto rischio/beneficio, l’uso medico della sostanza non deve essere considerato una terapia ma un trattamento che può ridurre determinati sintomi, supportando i trattamenti convenzionali.

La Cannabis non è una panacea, è un’arma efficace da usare con giudizio, equilibrio e consapevolezza dei suoi limiti, dei benefici e dei rischi di un trattamento che va utilizzato “cum grano salis” come saggiamente dicevano i latini.