Una situazione che talvolta porta a compiere atti terribili come quello accaduto tempo fa nel Torinese

Sul sito www.Superando.it è apparso un bellissimo articolo che parla dei caregiver familiari, cioè di quelle persone che si occupano di assistere un proprio congiunto – autosufficiente e non – con disabilità grave, al quale arrivano a volte dedicare tutta la vita. Abbiamo voluto riprendere molti concetti da quell’articolo, a firma Alessandra Corradi, presidente dell’associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti. 

La redazione

Riflettendo sulla tragica vicenda accaduta tempo fa ad Orbassano (Torino), che ha visto una madre uccidere la figlia di 42 anni, persona con disabilità intellettiva, mi ha colpito molto che una coppia di genitori pluriottantenni si occupasse  da sola dell’unica figlia, ultraquarantenne con disabilità multiple e gravi. Nei vari articoli che ho letto, i più dettagliati dei quali sono apparsi ovviamente su «La Stampa» di Torino, non si fa cenno ad assistenza domiciliare, né ad un progetto di vita indipendente, né ad interventi di sollievo per questi anziani genitori. Ho letto dei vicini che aiutavano negli spostamenti al bagno: esistono, però, quelle cose che si chiamano ausili, che permettono a chi ha una ridotta mobilità di spostarsi e consentono ai loro caregiver di operare in totale sicurezza, specie quando si tratta di disabilità motorie legate anche ad un peso “importante” della persona, così  come  scritto nel caso della povera Silvia.

Esistono poi soprattutto i Servizi Sociali che in determinati casi dovrebbero sempre intervenire per dare una mano a queste provate famiglie fornendo loro tutta la consulenza necessaria, dalla previdenza al diritto all’assistenza domiciliare, dalla elaborazione di un progetto di Vita Indipendente (legge 162/98) alla modifica dell’ambiente per renderlo facilmente fruibile anche a quelli con grave disabilità.

Mi meraviglia molto che in un piccolo centro della provincia di una delle città più grandi d’Italia non vi sia una rete di interventi attorno a un nucleo familiare come quello di Maria, Silvia e Clemente. Quante famiglie così ci sono a Orbassano? Si è parlato e si parla molto della legge 112/16 sul “Dopo di Noi”, il grande “babau”, quest’ultimo, dei genitori di figli con disabilità. Su quella Legge, fatta male, non mi soffermo.

Il “Dopo di Noi” lo si devi costruire “Durante Noi” e “durante noi” è quel fenomeno che purtroppo in Italia è invisibile, non riconosciuto, che da oltre vent’anni attende una legge che normi e tuteli il settore: questo fenomeno si chiama caregiving familiare. Sono quasi 9 milioni le persone che in Italia si occupano di un familiare non autosufficiente, che non significa solo il genitore anziano, magari oncologico grave, ma anche un figlio con disabilità, un coniuge non autosufficiente.

La legge dovrebbe inquadrare i caregivers come lavoratori a tutto tondo, e quindi beneficiari di servizi e tutele al loro pari. Per accudire i nostri cari, la maggior parte di noi, che sono poi le donne, lascia il lavoro perché il carico assistenziale impone l’affiancamento ventiquattr’ore su ventiquattro: ne discende  quindi anche un impoverimento del nucleo familiare.

Pensiamo ad una donna di 40 anni con una figlio nato con grave disabilità e non autosufficiente, una donna che magari è sola, in molti casi il marito/padre abbandona la famiglia nei primissimi anni di vita del figlio, lasciando la madre a vedersela da sola, priva spesso di qualsivoglia cognizione medica, infermieristica, di fisioterapia, con scarsissime o nulle entrate economiche, che si dedica al figlio ogni giorno 24 ore su 24, tutti i giorni, per sempre. Non ci sono sabati o domeniche o feste o ferie che tengano, nessuno la sostituisce, se si ammala è un dramma e quindi non deve ammalarsi, mai !

Ci sono studi e ricerche che documentano come il rischio di esaurimento psicofisico sia altissimo, questo è un lavoro usurante, che consuma…

E così si organizzano convegni, incontri, dibattiti, ma queste persone rimangono spesso  entità invisibili. Come poi la gente “normale”, che non ha cioè esperienza diretta di caregiving, percepisce il fenomeno, appare in tutta la sua sconcertante evidenza nel Disegno di Legge S.1461 (Disposizioni per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare), presentato come il frutto del lavoro di tutte le parti politiche e la summa del meglio in assoluto, per rispondere ai bisogni dei caregivers familiari.

Ebbene, in quel testo i cargivers sono «volontari che assistono il loro caro» (anche per quarant’anni…).

E lo fanno solo per amore, perché è disdicevole chiedere dei soldi per fare quello che un parente stretto dovrebbe fare in ogni caso. Già: tutte le mamme, o i padri, o i fratelli sono esperti di disabilità, malattie genetiche patologie rare ecc. ecc. e hanno fatto studi approfonditi sulla neuroriabilitazione, la didattica speciale, la tecnologia assistiva e così via. E quanto risparmia lo Stato Italiano grazie a questi volontari? Tutto quello che loro spetta, in questo Disegno di Legge, è il prepensionamento… Certo, tra un cambio di catetere, un monitoraggio del ventilatore meccanico/saturimetro o il praticare le manovre anti crisi epilettica, “freschi come fiori”, si va per otto ore al lavoro, lasciando non si sa a chi il loro caro…

E purtroppo ci sono quelli che a lavorare sono costretti, perché altrimenti non avrebbero i soldi per fare nulla, dato che poi la pensione di invalidità per una persona maggiorenne è di 290 € al mese, altra gravissima vergogna tutta italiana. La disabilità grave è un “lusso”, costa tantissimo, chi non la sperimenta non può sapere ciò che serve poiché i tagli ai servizi sanitari sono stati imponenti specie ovviamente per quel che riguarda la disabilità e ci si  ritrova a dover comprare tutto, di tasca propria. Comunque un altro aspetto del fenomeno caregiving è appunto il gesto estremo: quando il genitore non vede più via d’uscita, fa quello che ha fatto Maria a Orbassano. Spesso, poi, riesce a completare l’opera non sopravvivendo. Perché chi arriva a questo estremo, dopo quarant’anni di assistenza alla figlia non è un omicida qualunque.

E di solito, appunto, si toglie anche la vita. Se qualcuno si prendesse la briga di cercare, per il solo anno 2019, scoprirebbe quanti genitori (e non solo genitori) abbiano scelto questa “soluzione”. Ma bisogna saper cercare bene, perché spesso questi episodi sono liquidati come semplici fatti di cronaca nera. Spero che chi dovrà giudicare Maria abbia ben presente il quadro. A lei, tutti i genitori caregiver, come la sottoscritta, mandano un grosso abbraccio perché possono immaginare quali sentimenti stia provando ora. Alle Istituzioni sollecitiamo di attivarsi e fare rete, specie tra Enti diversi, in modo da tutelare il più possibile queste famiglie: è sufficiente fare comunità e da lì poi nascono le idee e le iniziative.

Pensiamoci: anche dei volontari che si fossero alternati per leggere un libro o un giornale a Silvia, quale grande terapia sarebbe stata, perché il problema principale per noi famiglie con caregiver è la solitudine in cui ci troviamo.