UNO SGUARDO SULL’I.C.D.

IMPEGNATIVA DI CURA DOMICILIARE

Tutto quello che c’è da sapere su questo strumento della Regione Veneto per evitare l’istituzionalizzazione delle persone con disabilità

di Flavio Savoldi

COS’È L’ICD.

L’ICD  (impegnativa di cura domiciliare) è il contributo economico erogato alle persone con disabilità e non autosufficienti. Questo consente a loro e alle famiglie di organizzare autonomamente la propria assistenza. Le ICD sono compatibili con altri servizi domiciliari e con l’ADI (assistenza domiciliare integrata), e ne possono usufruire anche coloro che frequentano i centri diurni o di formazione se viene riconosciuta l’effettiva necessità del supporto domiciliare.

Le ICD sono quindi integrative, non alternative, sono assegnate per favorire l’autonomia personale e i percorsi di vita indipendente, per evitare istituzionalizzazioni non richieste e per supportare le famiglie su cui ricade un gravoso carico assistenziale.

La loro durata è annuale e il rinnovo avviene automaticamente in presenza di strumenti di valutazione (ISEE, SVaMA o SVaMDi, NPI) in corso di validità al momento della scadenza. L’accesso alle ICD avviene per scorrimento di graduatoria. La Regione del Veneto nel 2013 ha innovato le modalità di erogazione dei contributi per le cure domiciliari per le persone non autosufficienti (assegni di cura e finanziamento progetti di Vita Indipendente). Per questo è stato creato l’ICD.

COME SI ACCEDE ALL’ICD

Si possono ottenere informazioni presso gli sportelli integrati e gli altri punti di accesso della rete dei servizi (assistenti sociali, sportelli dei Servizi sociali dei Comuni o di altri enti delegati, sportelli del Distretto Socio Sanitario). Presso gli stessi sportelli possono presentare la domanda i diretti interessati, i familiari o le persone che ne hanno la rappresentanza.

LE 5 CATEGORIE DELL’ICD

L’ICDb è rivolta alle persone con basso bisogno assistenziale, rilevato attraverso una scheda di valutazione SVaMA (Scheda di Valutazione Multidimensionale Anziani) semplificata compilata a cura del Medico di Medicina Generale e dell’Assistente sociale, e con ISEE inferiore a 16.631,71 euro. L.ICDb ha un valore mensile fisso di 120,00 euro e viene istituita come conversione dall‘ assegno di cura base a sua volta derivante da un contributo regionale previsto sin dal 1992 a favore delle famiglie che assistono a casa propria persone non autosufficienti.

L’ICDm  deriva dall’Assegno di cura per l’assistenza domiciliare alle persone con malattia di tipo Alzheimer accompagnata da gravi disturbi del comportamento. Ha un importo mensile fisso di 400,00 euro ed è erogata a utenti con ISEE inferiore a 16.631,71 euro e con bisogno assistenziale medio valutato in UVMD attraverso la SVaMA ordinaria e con disturbo comportamentale certificato con il test NPI.

L’ICDa è rivolta a persone con gravissima disabilità e in condizione di dipendenza vitale, tra i quali i malati di SLA. Il valore del contributo è articolato sull’ISEE, il cui tetto massimo sale a 60.000,00 euro.

L’ICDp traduce nel paniere i contributi per i progetti di aiuto personale e di autonomia personale, prevalentemente rivolti a persone con disabilità psichico intellettiva.

L’ICDf supporta i progetti di vita indipendente. Gli importi economici di queste due tipologie variano in funzione delle progettualità. La presa in carico è subordinata a valutazione multidimensionale, con SVaMDi (Scheda di Valutazione Multidimensionale per persone con Disabilità), attualmente senza definizione di una soglia ISEE.

LA STORIA

Istituita dalla Giunta regionale con la deliberazione n. 1338/2013, l’ICD è stata subito osteggiata dalle associazioni delle persone con disabilità che da anni chiedevano il potenziamento di tutti gli interventi domiciliari come azione di contrasto all’istituzionalizzazione e non ravvisavano la necessità dell’ennesima deliberazione calata dall’alto e non richiesta.

Gli interventi ora raggruppati nel cosiddetto “paniere domiciliare” delle ICD, ad esempio i progetti per l’assistenza e la promozione dell’autonomia personale, i progetti di vita indipendente, gli assegni di cura, venivano infatti erogati da oltre un decennio ed erano già inclusi nel Fondo Regionale per la non autosufficienza. Perché dunque rimettere in discussione interventi consolidati che necessitavano di ben altre modifiche con una nuova deliberazione che avrebbe determinato l’espulsione dai servizi domiciliari di oltre mille utenti con grave disabilità?

Se questo non è avvenuto, la sottolineatura è doverosa, è solo grazie alle numerose iniziative di protesta della FISH e dei Comitati per la Vita Indipendente che hanno costretto la Giunta a correggere e migliorare il provvedimento emanato. Se i servizi di assistenza autogestiti per l’autonomia personale e per la vita indipendente mantengono almeno in parte le loro caratteristiche originarie è solo per questo motivo, ma resta ancora molto da fare.

Le prestazioni domiciliari con la deliberazione 1338/2013 sono state riprogrammate e sono diventate Impegnative di Cura Domiciliare (ICD). Il provvedimento secondo la Regione si era reso necessario per adattare ed ascrivere il contenuto delle prestazioni nell’ambito dell’erogazione dei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza nazionali definiti dal DPCM, decreto Presidenza Consiglio dei Ministri, del 29-11-2001. Ma perché le prestazioni sono state “adattate” ed “ascritte”?

È questa la domanda cui bisogna in primo luogo rispondere per capire le ragioni che hanno determinato l’istituzione dell’ICD.

La Regione ha infatti istituito l’ICD non per ridare smalto a servizi domiciliari un po’ appannati, ma per contenere in primo luogo la spesa e per rispondere ad una urgente necessità di bilancio.

Tutti gli interventi domiciliari configurabili come azioni sanitarie a rilevanza sociale, afferma la Giunta con insolita chiarezza, prima definiti “extra LEA”, cioè Livelli Essenziali aggiuntivi a quelli nazionali e a carico del bilancio regionale, con l’istituzione dell’ICD sono stati qualificati come LEA nazionali e il loro costo, pari a 94 milioni di euro, è stato posto a carico del Fondo Sanitario Nazionale.

Le ICD sono interventi sanitari a forte prevalenza sociale, ha deliberato la Giunta, sono da qualificare come LEA e la relativa spesa deve essere finanziata dal Servizio Sanitario Nazionale.

È questo, e solo questo, il motivo per cui gli assegni di cura, i progetti di Aiuto Personale e di Vita Indipendente sono stati accorpati, riprogrammati, “adattati”ed hanno cambiato nome: sono diventati ICD, per essere “ascritti”ai LEA. Le ICD in quanto LEA sono in capo alla Sanità del Veneto e non ai Servizi Sociali regionali, la normativa di riferimento, precisa la Giunta, e non è una precisazione casuale, sono i DPCM del 14-02-2001 e del 29/11/2001, cioè i LEA sanitari.

La riprogrammazione degli interventi domiciliari è stata insomma l’inevitabile conseguenza di una scelta finanziaria, non di un riassetto necessario nel campo degli interventi di sostegno alle persone con disabilità e alle loro famiglie.

Che altro possiamo fare, dicevano allora gli assessori alla Sanità e ai Servizi Sociali: o si fa così o niente assistenza domiciliare. Una logica stringente e un “coup de théâtre” visto che la Regione Veneto è l’unica Regione in Italia ad avere messo in atto una tale trasformistica operazione: tutte le altre Regioni infatti pagano gli assegni di cura, e gli interventi per l’autonomia personale e la vita indipendente di tasca propria.

La manovra ha però anche un aspetto positivo perché sostenendo formalmente che tali interventi devono essere qualificati come Livelli Essenziali di Assistenza, la Giunta accoglie la nostra richiesta di sempre. I sostegni domiciliari diretti ed indiretti per le persone con disabilità sono infatti indispensabili ed essenziali e devono essere garantiti e resi esigibili.

Purtroppo non è così e l’ostacolo è ancora di carattere finanziario, non ci sarebbero secondo la Giunta i finanziamenti necessari e poiché la legge, come spesso accade, dice e non dice, gli interventi domiciliari restano inesigibili, i contributi economici restano largamente insufficienti e si formano liste d’attesa sia nei servizi domiciliari che semiresidenziali. Non basta cambiare nome, non basta l’etichetta di LEA, non è sufficiente spostare parte dei costi sul bilancio dello stato.

È da qui che a nostro avviso si deve ripartire parlando di persone e disabilità. È necessario porre all’attenzione del mondo politico e alle istituzioni la necessità di girare pagina, di volgere lo sguardo verso i principi e diritti che sono stati sanciti dalla Convenzione ONU, diritti umani che devono trovare attuazione e concretezza anche attraverso un piano straordinario.

Chiediamo risposte di alto profilo per essere chiari, non escamotage finanziari.