Un’interessante riflessione sugli interventi in caso di trauma in pazienti sportivi di rilievo e nella gente comune.

Goggia e la biologia

L’Italia tutta è orgogliosa della sciatrice bergamasca. Tenace, grintosa, brava, spiritosa. Magari anche  un po’ piena di sè stando alle chiacchiere maligne delle altri madri.

Stando alle notizie ha superato in poco più di 20 giorni una lesione legamentosa del ginocchio ed una minuta frattura del perone. Prodigi dell’impegno della protagonista e dei curanti, preparatori atletici e quant’altro.

Oddio…. Qualche volta dissenziente ha vociferato che il trauma non fosse poi così grave. Ma si sa, le madri delle antagoniste di squadra non fanno testo. Parla, almeno si vorrebbe la risonanza! L’ambiente agonistico non deve essere dei migliori e non basta essere donna per dimostrare fair play.

E tutta via questo piccolo-grande fatto di cronaca pone due interrogativi.

Se le cose fossero state falsificate ad arte, non ci potrebbero stupire più di tanto, ormai lo sport è competizione pura , sostenuta dal marketing. Alla faccia della correttezza sportiva.

Ma se invece il danno biologico fosse stato vero c’è da chiedersi perché gli altri (le persone normali) ci mettano tanto tempo per rimettersi in sesto.

Se pensiamo alle risorse messe in campo per il recupero della sciatrice c’è di che rimanere stupiti: rapido consulti, veloci procedure diagnostiche e terapeutiche, ore e ore di riabilitazione.

Ma la frattura dell’operaio, del muratore, dell’impiegata valgono forse meno di quella di una sportiva? Non è lavoro anche il loro? Umile, forse, ma non meno di valore. Ci si potrebbe chiedere  quanta disabilità si potrebbe ridurre con interventi incisivi e prolungati nel tempo.

Ma si sa, i disabili, i cronici, le persone comuni non fanno storia nell’Italia delle stelle (calciatori o sciatori che siano). E la riabilitazione rimane per molti una cenerentola.

Il Grillo Parlante

Verona, 11 marzo 2022